Social Cohesion Days, II edizione

26 - 27 - 28 maggio 2016, Reggio Emilia

Slow-Words intervista “Cangiari”

Intervista a cura di Diana Marrone

La tua storia in poche righe fino a quando incontra quella di Goel e di CANGIARI (incontriamo Vincenzo Linarello, presidente di GOEL-Gruppo Cooperativo)

Vincenzo-Linarello_Cangiari

I miei primi passi partono da una mia vocazione di fede: tutto l’impegno che oggi sto esprimendo parte da essenzialmente lì.

È una vocazione che ho sentito abbastanza presto – già a diciotto anni – e che mi ha portato a promuovere prima la nascita di un piccolo gruppo di volontariato locale, poi una comunità di vita – dove attualmente vivo con la mia ed un’altra famiglia. In questa comunità condividiamo la casa, i soldi e accogliamo persone svantaggiate. Mentre nasceva questa comunità, nella Locride arriva un vescovo particolare, monsignor Giancarlo Maria Bregantini, con cui avviamo una collaborazione per il riscatto del territorio. E’ l’epoca in cui avviamo il progetto Crea Lavoro, un incubatore d’impresa per aiutare tanti giovani (e meno giovani) del territorio ad avviare cooperative ed imprese e crearsi così il proprio lavoro.

Non ci è mai bastata l’idea di creare qualche posto di lavoro, volevamo e vogliamo tutt’ora cambiare la nostra terra, la Calabria. Intorno al 2000 iniziamo ad incontrarci per rispondere a delle domande grandi: perché la Calabria è ancora oggi in questa situazione di grande precarietà? E cosa si può fare per cambiarla davvero?

Le risposte che ci demmo posero le basi su cui nel 2003 costituimmo GOEL.

Le risposte alle due domande furono le seguenti.

La Calabria è in questa situazione perché esiste un vero e proprio “progetto di precarietà”. La precarietà, in Calabria, non capita per caso: viene costruita. I vertici della ‘ndrangheta, alleati con un reticolo di massonerie deviate, controllano i voti e il consenso della gente offrendo risposte ai bisogni delle persone. Controllando il consenso, poi possono controllare anche le risorse pubbliche.

Cercando la seconda risposta – ovvero cosa possiamo fare per cambiare davvero la situazione – capimmo innanzitutto che abbiamo davanti un “sistema”. Un “sistema” non può essere affrontato in modo isolato, è necessario “fare comunità”. Nel 2003 creammo allora GOEL, per fare “sistema” e per dare risposte alternative ed emancipanti ai bisogni delle persone. Ma, per quanto noi possiamo crescere, dare risposte a due milioni di calabresi non è facile. Allora ci siamo posti il problema di raggiungere con un autorevole messaggio di cambiamento anche coloro che non avremmo raggiunto direttamente con le nostre attività. Un messaggio che non doveva solo essere enunciato a parole, ma dimostrato con i fatti, con una serie di iniziative tangibili sul territorio. Una di queste è CANGIARI, ma non è la sola.

Questo è, in breve il mio itinerario sino ad oggi.

CANGIARI  (dal dialetto calabrese: cambiare): l’ ‘alta’ moda etica come alternativa al pensiero mafioso ma non solo, in tutti i sensi: dal produttore all’acquirente che vuole qualcosa oltre ‘la moda’. Perché avete scelto solo la moda etica, anche se non si tratta di ‘soltanto’ quello, tra le mille cose che potevate mettere in piedi? Sicuramente siete legati fortemente alle tradizioni millenarie calabresi…

Un po’ tutte le nostre iniziative – dal sociale, al turismo, all’agricoltura, fino a CANGIARI – nascono sul territorio innestandoci dentro una valenza politico-culturale.

Storicamente CANGIARI  nasce da un’istanza precisa. Ad un certo punto del nostro percorso, veniamo interpellati da alcune giovani donne calabresi che decidono di salvare un’antica e prestigiosa tradizione della Calabria, quella della tessitura a mano.

La tessitura, come credo già saprai, nasce in Calabria nella Magna Grecia con i telai mano. Fino a cinquant’anni fa quasi tutte le famiglie calabresi, soprattutto nei centri interni della regione, avevano un telaio a mano con cui tessevano una parte consistente dei propri tessuti. Quest’antica tradizione è stata dismessa negli ultimi venti anni: i telai sono stati smontati e riposti in cantina come qualcosa di vecchio, superato.

Quelle giovani donne che ci hanno interpellato, indignate dall’oblio, decidono di rivitalizzare la tradizione e vanno dalle majistre, esse non sono semplici tessitrici, come tante: sono le maestre depositarie dei segreti della programmazione dei telai a mano.

Un telaio calabrese ha dai 1200 ai 1800 fili in ordito che, per ottenere una determinata texture o disegno di tessuto, bisogna passare in ordine matematico ben preciso nei licci del telaio. Nella maggior parte dei casi le majistre, come la maggior parte delle donne del popolo di un’altra epoca, erano analfabete, perché non erano potute andare a scuola. Come facevano dunque a ricordarsi a memoria queste complesse programmazioni matematiche moltiplicate per ciascuno dei tessuti che ognuna aveva nel proprio archivio? Avevano escogitato un trucco, un sistema mnemonico: delle cantilene, delle nenie, nei cui versetti veniva nascosto l’ordine matematico di passaggio di questi 1800 fili. Queste nenie erano rimaste ignote a tutti per secoli. Perché erano, come dire, il loro ‘brevetto industriale’, che tramandavano in modo molto geloso da madre in figlia.

Siccome le figlie non ne volevano sapere più nulla di continuare l’antica sapienza, le anziane signore decidono di rivelarci queste nenie, che archiviamo trasponendole su carta costruendo così il più grande archivio della tradizione tessile grecanica e bizantina. Parallelamente ricostruiamo o restauriamo gli antichi telai a mano. E queste giovani donne diventano così le nuove giovani majistre.

A questo punto – come tutti gli artigianati – questa iniziativa rischiava di naufragare proprio sulla sua sostenibilità economica. Se le tessitrici vengono retribuite in modo dignitoso la produzione del tessuto a mano è notevolmente costosa. Per essere più precisi e più chiari, per fare a mano un metro lineare di tessuto, peraltro non più largo di 70/80 centimetri, ci si impiega da 3 a 6 ore di lavoro, che retribuite sindacalmente hanno un costo esorbitante che nessuno sul mercato locale avrebbe pagato. Dei tessuti così preziosi – pensiamo – devono essere destinati ad un mercato che è in grado di pagarli adeguatamente, cioè la moda di fascia alta.

Così nasce l’idea di CANGIARI, di un marchio di moda di fascia alta, a cui abbiamo unito un’istanza politico-culturale. Abbiamo considerato che un marchio di moda è un potente strumento di comunicazione; poi magari mossi esclusivamente da fini di profitto lo si utilizza per comunicare contenuti superflui o addirittura disvalori. Abbiamo pensato che tale forza di comunicazione invece poteva essere utilizzata per altri scopi.

Abbiamo inoltre rilevato che nel segmento alto della moda italiana non c’era ancora un vero e proprio marchio ‘etico’ e abbiamo deciso di farlo noi, con un forte connotato etico, a 360° gradi.

L’eticità a CANGIARI abbiamo pensato dovesse permeare ogni aspetto dell’iniziativa. Non solo il fatto del recupero della tessitura a mano, o la nostra identità di cooperative sociali (che dunque fanno inserimento lavorativo di persone svantaggiate). Ma anche la constatazione di essere il primo marchio di fascia alta in Italia che usa solo esclusivamente materiali biologici certificati (non auto-certificati, sottolineo!). Utilizziamo una certificazione che apprezziamo molto: si chiama G.O.T.S. (Global Organic Textile Standard), una certificazione di prodotto (bio) e di processo (etico). In due parole CANGIARI è da un lato un’istanza del territorio, dall’altra una possibilità di comunicare i valori di GOEL con il linguaggio della moda.

Quante collezioni l’anno riuscite a portare sul mercato e se partecipate alla prossima settimana della moda a Milano?

Facciamo due collezioni l’anno, siamo una piccola realtà e non riusciamo a fare anche le pre-collezioni.

Partecipiamo quasi sempre a Milano Moda Donna, e la Camera Nazionale della Moda Italiana ci ha fin da principio dato il suo patrocinio.

In particolare quest’anno saremo ospiti di uno degli eventi di punta di questa edizione della Milano Fashion Week, la mostra Crafting the future, storie di artigianalità e innovazione in programma dal 21 Settembre al 13 Ottobre al Mudec, Museo delle Culture di Milano. Una mostra di Camera Nazionale della Moda con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico e ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane).

Il progetto – curato da Franca Sozzani e coordinato da Sara Maino e Federico Poletti – mette in mostra una selezione di eccellenze artigiane ed aziende che stanno investendo nello sviluppo di nuove tecnologie applicate alla moda con particolare attenzione alla sostenibilità.

Goel: chi sono i tuoi compagni di strada e chi sono le persone che state aiutando mi è molto chiaro. Mi piacerebbe avere un breve identikit del volontario ‘tipo’ e del collaboratore ‘tipo’?

Nel Gruppo GOEL stiamo cercando di costruire quella che abbiamo chiamato  ‘comunità di riscatto’.

Cerchiamo innanzitutto di fare comunità vera al nostro interno. Ci siamo riuniti un paio di settimane fa nelle assemblee di gruppo, che sono quasi sempre congiunte. E ci siamo ridetti ancora una volta che noi ci dobbiamo percepire una comunità, che si sostiene al proprio interno. Le tessitrici e le sarte di CANGIARI devono avere a cuore il destino degli agricoltori di Goel Bio; agli agricoltori deve stare a cuore il destino degli operatori sociali… Tutti dobbiamo sentirci parte di una famiglia che non si mette insieme però solo per il vantaggio reciproco, per la mutualità interna (questo lo fanno in tanti). Ma che si aggrega sopratutto per un progetto di riscatto della nostra terra.

Questo è il tentativo in corso d’opera, anche se devo dire che abbiamo già anche dei bei risultati.

Siamo cresciuti e ci stiamo sviluppando, faticosamente, finora senza capitali esterni. Quasi tutto è stato tirato su dal basso, con grande fatica. Ognuna di queste iniziative, probabilmente, se fosse stata da sola, senza fare comunità con le altre, probabilmente non ce l’avrebbe fatta.

Tutti i settori di GOEL, infine, sono connotati dalla cura per l’alta qualità (anche nel food, poi stiamo facendo nascere anche una linea di bio-cosmesi) e da una forte proposta etica e di innovazione.

Ci descrivi la tua giornata tipo a CANGIARI? E la tua scrivania in questo momento?

In realtà non c’è mai una “giornata tipo”. I tanti problemi che mi trovo ad affrontare sono usualmente così radicalmente diversi. Ma il gruppo dei presidenti delle cooperative e dei collaboratori di gruppo sono fantastici – ognuno estremamente competente nel proprio settore.

Spesso mi trovo a viaggiare fuori dalla Calabria (due, tre volte al mese), perché, vedi, la nostra terra muore anche di marginalità. Usando proprio la metafora sartoriale – a noi tocca ricucirla al resto dell’Italia e del mondo. Dobbiamo portare la nostra Calabria in giro per l’Italia e per il mondo. E nello stesso tempo portare il resto dell’Italia e del mondo qui, in Calabria. Questo significa un paziente lavoro di tessitura di rete che stiamo portando avanti ormai da anni, e che inizia a dare bei risultati.

Abbiamo lanciato nel 2008 un’idea di “alleanza” per cercare di fermare l’infiltrazione della ‘ndrangheta (a cui noi fermamente ci opponiamo) anche nel resto d’Italia e del mondo. Ad oggi, a questa rete informale, battezzata proprio “Alleanza con la Calabria”, aderiscono più di 750 enti ed organizzazioni di diverso tipo.

La mia scrivania è disordinata, con mille cose. La definirei assediata. Anche se tendo a tenere in ordine il disordine, formando delle pile ordinate di disordine…

Cibo e bevanda preferiti?

Eh, beh (ride!), c’è l’imbarazzo della scelta essendo nato e cresciuto in una regione dove ahimè si mangia troppo bene. Sono così rammaricato, Diana, perché la cucina calabrese non è conosciuta e valorizzata come meriterebbe! Ci sono ristoranti regionali di tutti i tipi in giro ma la nostra, ancora, è una cucina pressoché sconosciuta. Mi piace tantissimo lo stoccafisso, il baccalà, ed i legumi calabresi. Ovviamente, il peperoncino. E, consentimi, il peperoncino biologico di GOEL!

Un talento che hai, uno che ti manca

Mah (sospira!), il talento che ho, probabilmente, è di crederci veramente alle cose a cui mi dedico. Mi dicono anche che so comunicare bene. Io credo di riuscire a farlo bene solo perché mi limito a dire solo le cose in cui credo profondamente, neanche una sillaba in più.

Un talento che mi manca è, forse, quello della pazienza…

Dove ti vedi tra dieci anni?

E’ così una grande avventura questa di GOEL, che non saprei proprio…dove ci porterà. Adesso stiamo iniziando a varcare i confini nazionali, non solo con CANGIARI  ma anche con GOEL. Siamo stati, per esempio, riconosciuti nella Rete di Ashoka come fellows.

Abbiamo anche un progetto imminente che è quello di provare a “reclutare” questa grande fiducia dei calabresi, che ci siamo meritati in questi anni, per provare a convincerli a scendere in campo a sostenere il nostro progetto di cambiamento. Parlo di una mobilitazione di quei calabresi che stanno alla finestra ad applaudire le nostre iniziative ma non hanno ancora deciso a scendere in strada, ad impegnarsi direttamente. Questo, devo dirti, è il mio piccolo sogno imminente. Poi vedremo…

Cosa hai imparato, sin qui, dalla vita?

Che domanda grande, davvero grande…

Ho imparato tantissime cose e molte le sto ancora imparando.

Confrontandomi spesso col male, ho imparato che i veri cattivi sono veramente tanto pochi. La maggior parte di quelli che definiamo cattivi è gente imbrogliata, truffata da una visione della vita e del mondo assolutamente falsa – che non funziona.

E questo ti da una spinta di ottimismo senza eguali. Se trovi il verso giusto, la gente sa essere buona e sa anche cambiare.

Io ho paura dell’ignoranza che rende tutti ciechi e spesso irriducibili

L’ignoranza è parte di quella truffa che molti subiscono, acquisendo una visione della vita e delle cose strumentali a chi ci vuole truffare, o facendo propria una “ricetta della felicità” sbagliata. Tutti cerchiamo la felicità. Il dramma è quando la “ricetta” è sbagliata e noi vi abbiamo dedicato inutilmente tutta la nostra vita…

 

 

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